Tempo di lettura 16 min
… a noi stessi.
Dubbi, tanto per precisare.
Le parole usate per definire un concetto, o una caratteristica, o un avvenimento, o un’azione particolare, sono sempre contenitori anche di molto altro, rispetto alla semplicità con la quale vengono collegate per fare conoscere di cosa si stia parlando, o pensando, o scrivendo,o leggendo, o guardando.
Questi ultimi comportamenti sono infatti il contesto nel quale vengono inserite “parole” atte a comunicare alla mente umana, con sede nell’organo fisico cervello, la rappresentazione sintetica di un qualcosa affinchè tutti si sia “sintonizzati” nello stesso campo d’azione.
Ma ci siamo capiti bene?
Ma da qui a dire che ci siamo capiti perchè abbiamo usato la stessa lingua, a mio parere ce ne corre ancora molto.
Intanto, se stiamo parlando, entrano in campo i toni con i quali pronunciamo le varie parole.
Possiamo usare cinismo, ironia, sbeffeggiamento, arroganza, subordinazione, e via di seguito, e questo già da solo cambia tutto.
Infatti chi parla intona, impone il suo ritmo, battezza un diverso contesto entro il quale interpretare una parola, che, dal significato che le viene normalmente attribuito, potrebbe passare ad indicarne uno ben diverso.
Appunto a seconda dell’intento dato da chi la pronuncia.
Aggiungiamo anche il fatto che il nostro corpo ha un suo linguaggio, posturale, che fornisce a chi vi presta attenzione, informazioni molto più veritiere delle parole pronunciate razionalmente.
Allora parliamone di nuovo.
Si dice ti ascolto, hai ragione, è vero, sono d’accordo, mi interessa, mentre le nostre braccia, automaticamente si incrociano sul petto in totale rifiuto e chiusura.
E dal lato opposto, chi ascolta, in definitiva, a cosa presta attenzione? Al significato letterale, al tono usato, al contesto nel quale si svolge la conversazione, alla postura dell’interlocutore?
O forse alla probabile veridicità o falsità percepita, in dipendenza della propria fiducia nel prossimo, alla vibrazione interiore del proprio stato emozionale del momento, indipendentemente da quello che ascolta?
Quindi, partendo da questi dettagli, si potrebbe affermare che parlare con i propri simili non sia un modo così scontato per essere certi di aver capito bene o di essere capiti.
Pensiamoci sopra, ma forse è meglio prendere appunti e poi rileggere, per non sbagliare.
Meglio elaborare da soli, forse?
Dopo una bella conversazione con un chiunque qualsiasi, infatti, è molto più facile ritrovarci tra noi e noi stessi per ripensare.
Ancora una volta a quanto si è ascoltato, percepito, sentito, osservato, compreso, o forse, non compreso.
Perchè magari voleva dire proprio quello che non volevamo sentire oppure, anche se non sono state pronunciate le esatte parole che avremmo voluto sentire, sotto sotto, si capiva che il senso era quello che volevamo noi.
Oppure no.
Ma quale? Ma cosa? Ma come? Ma dove? Ma quando?
Se il parlare già crea la necessità di qualche doverosa legenda, il pensare, soprattutto il giudicare, apre i portoni degli universi.
Quando non c’è più l’interlocutore, ma il ricordo, il “percepito” di quello che ha detto e anche tutto il suo contrario, siamo in balia della nostra mente razionale.
O, meglio, dei meccanismi di sublimazione del nostro EGO, che sottopone tutto ad un solo parametro: la propria elevazione rispetto a quella di qualsiasi altro ente universale.
Pertanto tutto viene re- interpretato sotto questa luce, giudizio, trattenendo dalla comunicazione solo quanto più ci aggrada e ci porta vantaggio.
Anche nel voler prendere appunti di quanto detto, ecco che subentra la necessità di riassumere, sfrondando da tutto quello che non riteniamo utile per… il succo del discorso, come appare a noi.
Interpretazioni come riassunti del vissuto.
E per comodità nostra, magari, alcune frasi di senso compiuto le condensiamo in modi di dire che hanno valore solo per noi.
Quelle che usiamo tutti i giorni per classificare in modo veloce le nostre sensazioni, il nostro “interpretare” il mondo esterno.
Così facendo, però, non ci rendiamo conto che ci proiettiamo in un mondo totalmente diverso da quello al quale abbiamo partecipato.
Non ci rendiamo conto che stiamo costruendo immagini di quello che è stata la comunicazione originale, dei simboli unitari e stringati di tutto il complesso informativo di cui siamo stati parte.
Le parole che scriviamo ci portano alla mente la scena come l’abbiamo percepita, vediamo un quadro dove ci siamo noi e gli altri, questo è certo.
E intorno a loro tutte le percezioni, emozioni, chiusure, aperture, significati palesi e nascosti, posture e colori, sentimenti e giudizi: tutto in un blocco.
Ma un blocco interpretato, letto, riletto e continuamente ri-aggiornato di … riassunti riassuntivi.
In ogni caso colorato solo dai nostri colori.
Riassunti sbiaditi in semplici percezioni.
Fino a quando l’immagine vera, la ragione, lo scopo, si dissolve e resta solo la … sua percezione, il suo senso interiore.
Però, visto che lo abbiamo scritto, registrato da una qualche parte dentro di noi, resta nel tempo, … indelebile, … diremmo.
Ma resta un giudizio ed una reazione automatica ad un percepito … di parte.
Anche questo, però, se ci pensiamo bene, non è vero fino in fondo.
Leggere, ricordare, è un’attività molto evocativa; da una sola parola scaturiscono tutte le nostre possibili fantasie, emozioni, ricordi, nostalgie e progetti.
Ci permettiamo di entrare in altri mondi e altre vite, richiamiamo i simboli che abbiamo affiancato a quelle parole di senso compiuto e diamo loro vita… nel momento in cui … ci leggiamo.
Come leggere le percezioni riassunte?
Non siamo sempre gli stessi, il tempo che passa ci cambia, anche radicalmente.
Sostituiamo i nostri modi di essere e di ragionare per adeguarli a quello che impariamo ogni giorno e al quale ci adeguiamo ogni giorno.
Pertanto l’interpretazione di simboli sintetici non sempre ci raffigura la stessa scena, magari qualcosa cambia nel tempo, piano piano.
Un dettaglio qui ed uno lì, fino a quando il significato diventa un altro, perchè noi siamo altro.
Viene definita Evoluzione, o semplicemente vedere le stesse cose ma da una posizione diversa, dall’esterno magari, o dall’alto, o da dietro, o dalla parte di fronte.
Comunicare diventa quindi una attività soggetta a modifiche costanti e continue: come fidarsi solo su quanto detto ieri per vivere l’oggi o prepararci al domani?
Tanto vale stare a guardare e basta.
Qui si fa difficile; dovremmo comprendere che tutto quello che gli esseri umani si scambiano sotto forma di parole, immagini, libri e quant’altro sia fasullo, inutile, fuorviante e ininfluente?
Significa che sia impossibile comunicare in Luce, in trasparenza, esattamente quello che sei, e di cui hai necessità, e di quello che sei disposto a concedere?
Si, di certo !?! No, di certo !?!
Posizione molto esoterica, questa.
Si di certo
E’ ben vero che, nel comunicare, chiunque emana da sè stesso in prima istanza quello che è, poi quello che vuole e come lo vuole.
I modi e gli atteggiamenti sono i più disparati e dipendono ovviamente dal carattere, (aggressivo, dominante, remissivo, accomodante, inflessibile, energico, ecc. ecc.).
Unitamente alle strategie utilizzate, (convincere, blandire, minacciare, ordinare, chiedere, incuriosire, piangere, supplicare, instillare il senso di colpa, responsabilizzare e chi più ne conosce più ne metta).
Questo aspetto lancia una luce distorta sulla bontà ed utilità delle informazioni, che ci scambiamo a tonnellate, obbligandoci a separare la crusca dalla farina, in base a quello che stiamo cercando e a quanto onestamente lo cerchiamo.
Siamo sempre noi a scegliere quello che ci fa comodo sapere, oppure no, per cui è basilare sapere chi vogliamo essere, e dove vogliamo andare, per sapere di cosa abbiamo realmente bisogno.
No di certo
E’ impensabile considerare la comunicazione con gli altri esseri come falsa, inutile, fuorviante e soprattutto ininfluente.
Ogni incontro, ogni parola scambiata, sortisce effetto su di noi, e in un modo che va ben oltre la nostra immaginazione.
Qui gli insegnamenti esoterici, antichi e moderni, comprovati dalle più avanzate posizioni della scienza ufficiale, la fanno da padrone.
Tutto quanto compreso nel campo del mondo materiale, fisicamente manifestato in minerali, vegetali, animali, esseri umani non è altro che Energia che si conforma in vario modo, in funzione della propria velocità vibratoria.
Ed ogni elemento è un centro di ricezione ed emanazione di Energia ad un certo livello vibratorio.
Sempre la Legge di Risonanza
Di questo parliamo quando argomentiamo di chakra, nadi, canali energetici, meridiani di agopuntura, corpi energetici sottili, campi aurici, aura magnetica …
… corpo astrale, emozionale, mentale, spirituale, nouri, complessi di coscienza collettiva, sè superiore, sè inferiore, sephiroth, collegamento quantico, informazioni del DNA, e via di seguito.
I campi di energia sono sensibili alle variazioni di altri campi di energia, quindi, se siamo tutti energia, allora è automatico che tutti ci influenziamo costantemente, gli uni con gli altri.
Letteralmente, interferiamo energeticamente nella vita di tutti quelli che incontriamo o frequentiamo, semplicemente perchè siamo Energia, che si muove e si “mischia” con le altre “energie” in movimento.
Per di più, emanando un certo tipo di energia, modifichiamo anche l’ambiente fisico circostante nel quale viviamo, compreso lo stato di salute del nostro corpo, il primo ambiente che riguarda il nostro “essere”.
Siamo lontani dalla fantasia, questa è la realtà.
La scienza sta riconoscendo, piano piano, tutti i punti base di filoni di consapevolezza le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Leggete libri di David Wilkock, Bruce Lipton, Gregg Braden, Frank Capra, Vittorio Marchi, solo alcuni dei divulgatori e scienziati che forniscono le basi per unire scienza e spiritualità, che sono sempre stati un tutt’uno.
Per cui?
Comunicare oggi, nell’Era dell’Acquario, non è parlare, comprendere razionalmente, confrontare, giudicare e reagire a quello che gli altri fanno.
E’ renderci consapevoli che solo attraverso la comunicazione degli altri noi siamo in grado di vedere noi stessi in tutti gli aspetti interiori, inconsci, automatici che esistono già dentro di noi, ma che noi stessi rifiutiamo di ascoltare.
Solo in questo modo il Tutto cosciente che ci circonda è in grado di arrivare a farci capire che l’unica realtà vera siamo solo ed esclusivamente noi.
Esclusivamente il nostro sentire, il nostro senso interiore dell’essere può essere veramente interagito, modificato, perfezionato, e la strada per farlo è vedere quello che noi non vogliamo vedere di noi…
... proiettato come al cinema su di uno schermo esterno a noi, in modo proprio da rendercelo palese, non nascondibile, non tacitabile, nero su bianco.
Ecco che allora la comunicazione diventa totalitaria.
Non sono altri che mandano messaggi a me, è il mio universo che si proietta al mio esterno,
e mi rimanda quegli aspetti che mi servono per riposizionarmi correttamente all’interno di un tutto,
che io stesso contribuisco a creare.
Comunicare … noi stessi a … noi stessi.
Etimologicamente Comunicare deriva dal latino , “communicare”, mettere in comunione, derivato dal termine “commune”.
Con il significato, veramente da meditare, di persona che compie il suo dovere con gli altri, in quanto parola composta da “cum”, insieme e “munis”, ufficio, incarico dovere, funzione.
Ecco che quelle persone comuni che incontriamo tutti i giorni non fanno altro che compiere il loro dovere, di fare comprendere a noi, e noi tra di loro, quello che è il nostro percorso verso la consapevolezza del nostro vero essere.
Il silenzio terapeutico informativo.
Per cui a mio avviso il meglio che possiamo fare in mezzo alla quotidianità penso sia proprio quello di tacere, tacitare la mente, tacitare il giudizio, tacitare il voler essere in funzione dell’esterno.
Lasciare che tutte queste “energie” fluiscano attraverso di noi, e poi scegliere la nuova versione di noi che riteniamo migliore per proseguire il nostro, e solo nostro, viaggio, in totale responsabilità della libertà del nostro esistere.
Sono innumerevoli i testi che portano questo significato, direi tutta la produzione culturale esoterica verte su questo punto:
il riconoscimento di chi siamo al di là della nostra identificazione con un corpo fisico di una certa durata, e l’interazione con la realtà vera, quella che sta al di là del velo di Maya.