L’ennesimo mantra moderno utilizzato per definire, delimitare, differenziare.
La nostra mente razionale ha la necessità della “catalogazione”, cioè di appiccicare una etichetta riconoscitiva.
A parole, avvenimenti, persone, filosofie: per poi riunificarle in un “protocollo” di trattamento della categoria, nella quale è stata classificata la parola, l’avvenimento, la persona, la filosofia.
Da qui il fare di ogni erba un fascio, senza poter più leggere tra le righe, o approfondire il significato dei termini usati per descrivere il mondo che ci circonda.
In questo modo si fa prima, … ma a fare cosa? In definitiva in questa esperienza di vita, tutto, prima o poi, arriva ad un dunque.
In un momento emotivo, o razionale, o inconsapevole, durante il quale tutti i nodi arrivano al pettine, e lo trattengono fino a quando non verranno sciolti.
Ecco che i protocolli di trattamento che considerano solo “categorie”, “gruppi”, “partiti”, “pregiudizi”, applicati al nostro quotidiano, non trovano più risposta.
Non trovano più … appagamento, non riescono più a ricreare quella no-fly-zone, quella comfort-zone che ogni giorno ci rimanda quell’immagine di noi stessi a cui siamo abituati.
Etichetta?
“Risveglio della coscienza” è l’ennesima etichetta che immediatamente identifica un modo d’essere, un’attività, un impegno, un argomento abituale di conversazione.
Un cartello del genere … “oggi aperto per sole conferenze di spiritualità”, oppure “gradito abito di luce”, o “medita chi sei, dove vai o cosa fai quando sei qui”, o anche che “la verità che ti dico ti consente la libertà”, e cose di questo tipo.
Appena ricollegato l’evento a questa categoria di trattamento, scatta l’apposito protocollo di azione, reazione, confronto e misura della risposta.
“Risveglio” comporta il richiamo verso l’identificazione di qualcosa che ci ha mantenuti nella normalità, nelle reazioni automatiche che ci rendono inconsapevoli.
E’ come il riprendere il filo di un discorso dopo essere stati distratti, fuorviati: bisogna fare una pausa, riesaminare quanto fatto o detto o visto o subito.
Cioè ritornare al momento nel quale si è presentato il time out, quel salto (dimensionale, energetico, irrazionale, emotivo, inconscio) che ci ha fatto perdere il filo della nostra vita, per poi riprendere il viaggio.
In questo contesto, allora, il termine successivo, “coscienza”, rappresenta … il tutto di … noi stessi.
La nostra coscienza, il … coscienza di chi siamo, è costituita da tutto quello che contiene di noi, l’insieme delle nostre credenze, delle angosce, dei desideri, il nostro … riassunto.
È un coacervo di piaceri, vanità, ipocrisie, sofferenze, speranze, superstizioni, paure, aneliti, necessità, fallimenti e successi sui quali basiamo la nostra vita.
Proprio la nostra quotidianità, esattamente quello che noi siamo, e pensiamo di essere, e anche quello che non pensiamo che potremmo essere, o che non vediamo di noi stessi.
Applicare a questa “coscienza” un distinguo che crei una differenza tra un piano materiale, abitudinario, ed uno spirituale, da raggiungere, a cui “risvegliarsi”, normalmente è definito “il sentiero del risveglio interiore, “il richiamo della spiritualità” e simili, ulteriori, etichette.
Il percorso
Un percorso di “presa di coscienza”, magari riservato, accessibile solo a pochi eletti.
Mentre non c’è nulla da acquisire. da conquistare in più rispetto a quello che noi già siamo, in ogni singolo istante del nostro presente.
Anzi, questa “coscienza personale”, con la quale sembra che litighiamo ogni giorno per spingerla a vette più elevate, non è nemmeno appannaggio privato di ognuno di noi.
Facendo mente locale, possiamo benissimo renderci conto che ogni singolo essere umano su questo pianeta, ha la stessa coscienza … nostra.
In ogni angolo del pianeta c’è un essere umano che soffre, ha desideri, angosce, incertezze, dubbi, pretese, vanità, disperazione, smania di essere diverso, migliore, avere successo, sia materiale che spirituale.
Quindi la mia coscienza, la tua coscienza, la nostra coscienza … è la coscienza dell’umanità.
E questa è una verità difficilmente confutabile.
Che ci conduce ad una verità altrettanto inconfutabile, cioè che ogni essere umano, prima o poi passa attraverso le stesse identiche angosce, sconforti, gioie, disperazioni, paure, rivalse che facciamo nostre.
Quelle che ci fanno sentire soli, incompresi, chiusi nel nostro personale, unico, irremovibile, non comunicabile, non comprensibile stato emotivo che erigiamo a nostra difesa o trastullo.
Sensazioni manifestate in modi diversi, ma la paura è paura, la resa è resa, la confusione è confusione, qualsiasi siano i modi scelti per sfuggirvi.
I salvatori
E queste azioni, queste scappatoie sono la quotidianità che ci troviamo di fronte e che giudichiamo, e che mettiamo nelle mani di altri a cui scarichiamo la responsabilità di … risolvere la situazione.
Mentre la soluzione è esattamente dentro di noi, perchè la nostra coscienza è Tutta La Coscienza, già disponibile, presente, senza la necessità di doverla cercare altrove.
Ma, c’è sempre il ma, nessuno ci insegna a leggere questo libro di sapienza che custodiamo al nostro interno.
Tanti sono disposti a leggercelo al posto nostro, oggi più che mai, e tanti poi seguono percorsi che non sono i loro.
E ogni volta che si intraprende un sentiero di “risveglio della coscienza”, ecco che ci si ritrova sempre, immancabilmente, obbligatoriamente di fronte allo stesso portale.
Quello della disillusione, quello che ti fa rendere conto che la strada è solitaria e auto-referenziata: conosci te stesso … e conoscerai il mondo e gli dei.
Perchè tu, e solo tu, sei il mondo e il dio che lo crea e lo gestisce a sua immagine e somiglianza.
Conoscere te stesso significa iniziare a leggere con i TUOI occhi il libro che ti appartiene, e che appartiene a tutti.
Tempo al tempo
Significa accettare quello che è il nostro “Io sono” in questo preciso istante, e continuare ad osservarlo per comprenderla sempre di più, per arrivare a svelare ogni singola verità del nostro essere.
Risvegliare la coscienza non è fuggire altrove, spostarsi a destra o sinistra, sopra o sotto, dare voce ad ogni dubbio o illusione o maschera che ci consenta di modificare la realtà, quello che siamo.
Non è un sentiero, un percorso da iniziare e poi da finire, che comporta il tempo per arrivare da un inizio ad una fine.
Facendoci vivere nell’illusione di conseguire dei risultati, di fare qualcosa per raggiungere qualcosaltro, che è sempre … domani.
Piuttosto, è un rimanere esattamente dove sei adesso, nella sensazione che stai provando in questo momento, che non è mai un luogo piacevole, sereno, perchè pensi che altrove sia meglio, più appagante, divertente, realizzativo, diverso.
Ma se anche arrivassi a questo altrove, troveresti di nuovo e solo te stesso: avresti solo fatto un trasloco di tutte le infinite cose che ti saresti portato dietro.
Con uno sforzo enorme, per sostenere tutte quelle impalcature di sicurezze, certezze, paure o dubbi, barriere di autodifesa e sostegno, armi di attacco … per affrontare quello che non ti compete.
Il libro
Solo dentro di te c’è la soluzione ed e solo tua: puoi leggere il tuo libro fino alla fine, e nessuno te lo toglierà di mano, ma devi porre attenzione al significato di ogni parola, a quello che richiama a te.
Poi alla punteggiatura, agli spazi vuoti e al ritmo della narrazione, senza preferire un capitolo all’altro, perchè tutto insieme è un libro, la tua coscienza, mentre il solo singolo capitolo diventa un’isola a sè stante.
Sulla quale corri il rischio di rimanere fino al resto dei tuoi giorni, come un naufrago, a mangiare solo ananas e null’altro, o a morire di fame per mancanza di amore e accettazione.
La coscienza è l’insieme di tutto quello con cui giochiamo da mattina a sera, ma persi nell’illusione che siano cose diverse da quello che sono.
Allora la violenza viene definita reazione legittima, l’ipocrisia diventa fedeltà al proprio credo, l’omicidio di massa una necessità evolutiva, la schiavitù un obbligo organizzativo, la compassione una violazione del giusto karma.
E la nostra coscienza un qualcosa da dover raggiungere attraverso un “percorso” di risveglio, secondo miriadi di metodi evolutivi … di altri.
Che diventano il mantra ipnotico che ci serve per sostenere il peso di quello che non vogliamo accettare di noi stessi.
Ma anche questo è … non libertà, della nostra coscienza, ma … obbligo, che la nostra coscienza sia qualcosa di diverso da quello che è adesso, da raggiungere in un … dopo.
Anche questo diventa una illusione di … riuscita, di realizzare il desiderio di essere diversi, meglio di come siamo ora, di avere esperienze spirituali, superiori al vivere quotidiano, di illuminarci, di sperimentare il non-materiale.
Il mantra
Leggo che la parola Mantra in sanscrito significa “ricordarsi del non-divenire, meditarci sopra, capirne il significato”.
“Diventare” qualcosa di diverso da quello che si è, richiede porre forza di volontà nel realizzare un desiderio/illusione di poter essere diversi a noi stessi, senza cambiare nulla di noi stessi.
Solo attraverso un atto magico, immediato, trasmutativo, ma che non comporti uno sforzo troppo violento, oltre quello di sfuggire alle abotudini perdendosi nella spiritualità.
Questo significherebbe sostituire un obiettivo razionale, mentale, con un altro accettato dalla stessa mente: saremmo sempre nella lettura del nostro libro, nella gestione della nostra coscienza, conformata agli occhi altrui.
Saremmo sempre nella schiavitù imposta da schemi esterni a noi, plasmati da altri per soddisfare i loro fini, situazione direi molto attuale, e facilmente fatti accettare da chi “non sa leggere”, o non ha la pazienza o la forza di leggere sè stesso.
Attraverso l’ingenuità tipica di chi vuole arrivare ad ogni costo al “diverso”, o di chi non vuole perdere il “normale” ad ogni costo.
Continuando a percorrere sentieri e filosofie e metodi già percorsi in miriadi di vite precedenti e di attimi precedenti a questo, ma nell’illusione, nel protocollo richiesto dall’etichetta “risveglio di coscienza”.
E per una etichetta, del mondo materiale o spirituale, per rientrare nel concetto che tale etichetta richiede, ognuno di noi spende la propria vita cercando di esserne all’altezza, e definendo questo uno stato di apertura di coscienza.
La guerra
Se sono certo che ci sia una coscienza da dover risvegliare, un qualcosa di diverso da me da dover raggiungere in un qualche modo, sto già mettendo in moto dei meccanismi di obbligo, reazione, difesa, confronto con quello che è l’inizio, da cambiare , e la fine, da raggiungere.
Sono già in guerra, con me stesso, e comunque vada a finire io perdo sempre, perchè modifico quello che sono già per diventare quello che non conosco di me, e che non sono adesso.
Ma che mi getta nel panico dello sconosciuto, nella paura del fallimento e nella tensione del dover fare: cioè nel tormento del presente non accettato.
È un diventare, cioè un giudizio del non essere come dovrei essere e nel doverlo diventare, con tutti i dubbi del caso, nel futuro.
Meccanismo mentale che mi porta a “misurare” dove sono adesso, e quanta strada abbia finora percorso da prima ad adesso, e sempre con riferimento ad un termine di paragone.
Un ideale di confronto che di volta in volta diventa … gli altri, il maestro, il metodo da padroneggiare, l’esperienza illuminante , il successo o l’insuccesso rispetto al “dio” da raggiungere di volta in volta, il “divenuto” che si cerca.
Una catena che lega il passato al futuro, cancellando l’adesso, quello che ci si impone di modificare, ma dal quale pretendiamo serenità e fiducia.
Una soluzione?
Un reset della nostra “coscienza”, come sopra delineata, del nostro tutto, e del tutto dell’umanità, sarebbe una soluzione?
Cancellare tutto quello che siamo stati o che crediamo o vogliamo essere, togliere ogni minima etichetta ricevuta, o attribuita, potrebbe aiutare?
Eliminare ogni termine di confronto, tra il passato ed il futuro sperato, tra un giudizio rispetto ad un’altro, forse toglierebbe il senso della misura, di quello che deve cambiare nel corso del tempo.
Toglierebbe senso anche al tempo stesso, o quantomeno alla percezione del tempo come unità di misura del cambiamento da dover realizzare.
Renderebbe ogni esser umano libero, totalmente libero da ogni definizione di cosa lui stesso dovrebbe o non dovrebbe essere.
Di cosa dovrebbe o non dovrebbe fare, o meritare, o guadagnare per poter accettare di poter godere della vita quello che è: il solo senso di … vivere.
Senza l’obbligo del controllo di quanto ci circonda, di quanto gli altri facciano o non facciano, di dove si sia o non si sia arrivati rispetto al … prima, al fatto che ci sia o non ci sia un “prima” che generi un “dopo”.
E soprattutto di accettare quello che si è ora, senza dubbi, incertezze, sensi di colpa o meriti inutili, perchè non ci sarebbero etichette da appiccicare a niente e nessuno, perchè nessuno le leggerebbe.
Potremmo …?
Io, tu, noi tutti, potremmo davvero sperimentare la possibilità di un simile grado di LIBERTA’ pura?
Potremmo riuscire a sostenere questa responsabilità dell’essere verso l’universo e il senso della sua esistenza?
Riusciremmo a rivendicare serenamente il … diritto di vivere il nostro infinitamente piccolo, di fronte all’infinita immensità dei cosmi?
Ritroveremmo, tra tutte le creazioni del pensiero razionale, dei condizionamenti, dei desideri frustrati o realizzati, un concetto di … Sacro, di superiore al … “tutto il resto”?
Di quello che va oltre al pensare e alla prigionia del tempo, che impone sempre un limite finale?
Quella pressione di dover … realizzare… prima che … in tempo per … , quell’ansia di non essere mai nel … momento giusto, di quel treno perso per sempre?
Forse … domani?
Forse solo la libertà di non dover essere qualcosa, a tutti i costi, ci potrebbe lasciare liberi di vivere nella comprensione e nella compassione, nell’amore incondizionato.
Svincolati dalla nostra stessa necessità di dover essere … qualcosa, liberi di guardare, osservare in silenzio e lasciare osservare in silenzio, la nostra e vita e quella altrui.
Cercare dentro di noi queste risposte forse davvero “risveglierebbe” la nostra coscienza … dell’immortalità.