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La via della felicità
Dove rintracciare quegli avvenimenti che ci aiutino a definire la nostra esistenza come … quantomeno serena?
Come accordarci in ogni momento a quello che accade senza paragonarlo al passato, giudicarlo degno o indegno della nostra felicità, e poi vivere respingendo o desiderando esattamente l’ideale della nostra mente?
Perchè non accettare quello che E’, esattamente come si presenta, ed inventarci una nostra, unica, nuova risposta ad ogni nostro respiro, un senso solo nostro, interiore, che non si rifaccia alla visione di altri?
Quando abbiamo smesso di decidere in prima persona da dove debba nascere la nostra felicità, su quali sostegni si debba posare, a quali vette debba arrivare?
Magari quando ci siamo resi schiavi della ricerca di come fare per permetterci di essere felici, al posto di decidere di esserlo già, e basta?
Il fatto
“”Due monasteri zen avevano ciascuno un bambino che era il prediletto tra tutti. Ogni mattina uno di questi bambini, andando a comprare le verdure, incontrava l’altro per strada.
“Dove vai?” domandò il primo.”Vado dove vanno i miei piedi” disse l’altro.
Questa risposta lasciò confuso il primo bambino, che andò a chiedere aiuto al suo maestro.
“Quando domattina incontrerai quel bambino” gli spiegò l’insegnante, “fai la stessa domanda.
Lui ti darà la stessa riposta, e allora tu domandagli: Fa’ conto di non avere i piedi: dove vai, in quel caso?”
Questo lo sistemerà.
La mattina dopo i bambini si incontrarono di nuovo.”Dove vai?” domandò il primo bambino.”Vado dove soffia il vento” rispose l’altro.
Anche stavolta il piccolo rimase sconcertato e andò a raccontare al maestro la propria sconfitta e a chiedere nuovamente aiuto.
“E tu quando lo incontrerai nuovamente domandagli dove va se non c’è vento” gli consigliò il maestro.
«Questo lo sistemerà”.
Il giorno dopo i ragazzi si incontrarono per la terza volta.”Dove vai?” domandò il primo bambino.
“Vado al mercato a comprare le verdure” rispose l’altro.””
Morale…?! Ma c’è sempre?
Quante riflessioni vi vengono spontanee leggendo queste righe?
Parliamone, a me ne nasce subito una spontanea e le altre, penso, influenzate dalla prima.
Per il fatto che sono etichettate ZEN, queste parole sono forse più vere di comportamenti talmente naturali, che nessuno vi porrebbe attenzione, se non vi dicessero: “oh veh, ma è una storia zen, c’è della filosofia sotto”.
E se invece non vi fosse altro che … vita?
Che, da sola, ogni giorno, indica il lavoro da fare, il pensiero da generare, l’avvenimento da comprendere, non per primeggiare, ma per essere … più … noi stessi.
L’Oriente disidentificante …
In questo campo l’Oriente ha molto da insegnare alla razionalità spasmodica occidentale, ma ognuno deve essere figlio dei suoi tempi, e di dove nasce.
La capacità di tacitare la mente può essere connaturale in entità che vi abbiano lavorato per eoni, per le quali la consapevolezza del loro essere “energia” è come il respiro di un essere umano.
Ma se il momento di un piano incarnativo è magnetizzato alla Materia, solida, densa, difficile da dinamizzare, il vuoto mentale diventa un simbolo.
Diventa l’idea di un punto di arrivo, di uno stato di distacco, proprio dalla materia, nel quale si è immersi; nessuno me ne voglia, potrebbe essere visto anche come una resa.
Visto che tutto è perfetto, è perfetto anche il tormento mentale, che deve portare alla comprensione del suo motivo d’essere.
E in questo aspetto, nasce la contapposizione forte, feroce, tra Pensiero, Spirito, i nostri desideri, la nostra mente che vuole, e Materia, cioè l’oggetto che deve rappresentare il successo.
O l’intenzione energizzante?
Qui non aiuta il distacco, ma l’azione penetrante, la ricerca nel mondo delle Ombre, nel buio delle nostre Dimensioni Interiori.
Perchè è li che si nasconde il “Daemon”, la volontà deviante, il motivo della ricerca ed il fallimento della ricerca, della nostra individuale felicità.
Servono volontà ferrea ed azione decisa nel mettersi in gioco, per la ricerca di un sentimento di equilibrio reale, che permanga nonostante il caos esterno, ma che sia anche attinente ad un piano Materiale.
E serve anche il distacco necessario per godere di questa felicità, che, per essere durature nel tempo, deve essere ricercata, sostenuta e nutrita in una dimensione … distaccata.
Come fare?
Quindi che fusione si dovrebbe realizzare tra “felicità” e …”vuoto mentale”?
Forse Accettazione, come quotidianità, Semplicità come reazione, Fiducia, come certezza di un domani nel quale sorge sempre il Sole?
Tutto questo ha senso, ha vita, in un mondo dei contrasti, solo quando quello che provi ti porta non vuoto, ma pensieri.
Quelli che ti vengono in mente solo se li pensi, solo quando ti chiedi che significato abbia per te la felicità, e solo perchè senti che le risposte che ti dai sono vuote di significato e piene di stereotipi e frasi fatte.
Tutti questi processi mentali possono essere definiti filosofici, psicologici, zen, buddisti, induisti, cabalistici, religiosi, magici, esoterici.
O semplicemente la realtà di una entità che si affaccia allo specchio e si chiede cosa vede, con la consapevolezza che lo specchio non esiste nemmeno.
Esisti solo tu e quello che scegli.
E questo, quante riflessioni spontanee ti fa sorgere?